LA PAROLA A PIETRO PARISI, CHEF CONTADINO
Il 18 giugno Pietro Parisi ha fatto un intervento interessante e appassionato al Mise (Ministero dello Sviluppo Economico). Noi c’eravamo e vogliamo condividerlo con voi.
“Sono nato alla corte dei miei nonni e cresciuto tra gli ortaggi fino a dieci anni. Volevo fare il cuoco, diventare un professionista. La mia terra non poteva darmi tutto quello di cui avevo bisogno. A Napoli avrei fatto lo sguattero o il cuoco ‘spaghetti e pomodoro’. Non avrei potuto crescere. Per questo sono andato a lavorare da Marchesi e poi da Ducasse. Qui all’inizio eravamo trentadue e dopo pochi giorni siamo rimasti in quattro. Ho vissuto in Francia quattro anni. Ho imparato non cosa, ma come cucinare. Sono cresciuto come professionista e come uomo. E solo allora ho capito cosa voleva trasmettermi Nannina, mia nonna: la terra quando dà frutti è importante e va rispettata. Se non la rispettiamo, non avremo rispetto per i nostri figli.
Il cibo è convivialità, attraverso la tavola si cresce, con semplicità e umiltà. Vengo da una famiglia di zappatori ma sono diventato un professionista. Dopo la Francia, ho fatto lo chef a Dubai, dove guadagnavo tantissimo. Poi però un giorno mi sono guardato allo specchio e mi sono chiesto: che ha fatto mia nonna per me? Ha zappato dieci anni in America, poi è tornata a Palma Campania con tutti i suoi averi. E cosa ho fatto io per la mia terra? Allora ho deciso di tornare. Ducasse mi ha dato del pazzo. “Che vai a fare?” mi ha detto. “Lì non ti conosce nessuno, finirai per fare lo sguattero”.
E’ vero, sono stato un pazzo. Sono tornato e ho aperto il mio ristorante, “Era ora”, con mia mamma e mia sorella. Con grande umiltà, rispetto e voglia di fare, ho messo tutto in discussione e sono tornato a fare polpette, spaghetti e parmigiana, ma con meno grassi per una cucina più salutare. Voglio che il ristorante dia visibilità ai contadini del territorio. Voglio mettere un po’ di Nannina nei piatti. Voglio che l’alta cucina sia accessibile anche a chi non ha mezzi. La cucina deve essere di tutti, non deve esistere una cucina per i ricchi e una per i poveri. Anche per questo abbiamo promosso due nuove imprese sociali: gli orti di Antonia - è il nome di mia figlia - in Mali: Dada Traoré è arrivato in Italia sette anni fa sui barconi. E’ stato pestato quasi a morte. Lo abbiamo aiutato e tutelato e gli abbiamo donato un ettaro di terreno nella sua terra, per i suoi figlio, perché possano mangiare bene e crescere bene. E poi un orto a Secondigliano, dove abbiamo tolto la pistola a tre ergastolani e l’abbiamo sostituita con la zappa, per permettergli di avere un’altra via d’uscita. Melanzane e peperoni possono dare l’opportunità di cambiare la propria vita e il punto di vista. La zappa in mano può rendere liberi. Prima c’era chi si vergognava di essere figlio di zappatori. Io invece ne sono orgoglioso. A mangiare sano mi ha insegnato Nannina. Se sono un artigiano vincente è grazie a lei. Sono caduto in basso, ma mi sono ripreso. Si può sempre ripartire, basta avere la faccia pulita. Per questo ho voluto fare un Magazine dedicato ai volti dei miei contadini, le facce sane del mio territorio: zio Francesco, zio Angelo, zia Giuseppina… I miei piatti sono l’esaltazione non della mia tecnica, ma soprattutto del loro contributo. Sarebbe importante se i giovani ascoltassero gli anziani. In questo modo l’Italia potrebbe riprendersi. Formigli, nel suo libro, mi ha citato tra le imprese impossibili. Io sono convinto che se ti svegli e vuoi sporcarti le mani, allora ce la puoi fare. Porto questa mia filosofia in giro per il mondo. Credo nei giovani e nella mia terra. E’ vero, ho subito minacce e violenze da parte della camorra, ma sono ancora qui. Se mi incendi l’azienda, io me ne vado, ma se ne vanno anche 33 famiglie (oggi ho 33 persone che lavorano per me dalle tre che eravamo all’inizio) e lasceranno dietro di sé terra di nessuno. Bisogna combatterli con la loro stessa moneta.
Io credo che per avere un futuro serva un grande passato. Vorrei che la Campania recuperasse la sua identità, non fosse più la terra dei fuochi ma tornasse ad essere di nuovo la “Campania Felix”. E’ questo il mio sogno.”
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